“Intervista a Valeria Caravella” di Mariantonietta Chiara Sciannamè

Intervista a Valeria Caravella.
di Mariantonietta Chiara Sciannamè

Foggiana, classe ‘82, hai vissuto all’estero per un lungo periodo, poi sei tornata in Italia; ora vivi a Vieste. Siamo abituati al percorso contrario: dalla dimensione di paese si passa alla città e poi magari alla metropoli. Come hai vissuto il tuo percorso e da cosa è stato mosso?

Il mio è stato un percorso tradizionale in una prima fase: dalla provincia del sud mi sono trasferita nella città del nord per gli studi universitari, trascinata dall’immaginario collettivo dei miei tempi. È stata una decisione condivisa con i miei amici quella di andare a Milano per vivere e studiare. Ho un ricordo nitido della notte del trasferimento, del viaggio in un’automobile carica di bagagli: faceva caldo e improvvisamente agglomerati di palazzi apparirono ai lati dell’autostrada. Milano era la città che aveva i palazzi più alti dei nostri e in quello scarto, differenza di vedute, intravedevamo l’ombra di un futuro da conquistare. Naturalmente non è successo, al contrario abbiamo cominciato a perdere pezzi, fantasie e illusioni di noi figli degli anni ‘90. Ma formazione è soprattutto questo, uno scontro violento con la realtà materiale delle cose. Dopo gli studi ho sentito il bisogno di ridefinirmi vivendo lunghi periodi in luoghi culturalmente diversi dai miei, esotici, piccoli villaggi o città multietniche. Credo di essermi misurata con la diversità culturale perché avevo bisogno di sentirmi più libera a riguardo della mia propria, avevo il timore che mi ingabbiasse.

Cosa significa per una giovane donna partire da zero per fare impresa in un settore come il turismo e per di più in un territorio che non è il proprio?

In Italia abbiamo un problema a due facce: una burocrazia vischiosa e un maschilismo diffuso e radicato. Il successo di un qualsiasi progetto dipende in gran parte dal caso, e dalla tua capacità di resistere a fattori esterni. Il resto non conta, o conta poco. Questa condizione nel migliore dei casi genera una perdita di tempo e un enorme spreco di energie; nel peggiore, invece, può costarti il posto di lavoro. Essere giovane e donna oggi significa avere un rapporto intimo e privilegiato con l’ansia, temere che da un momento all’altro possa arrivare qualcuno a sconvolgere i tuoi piani. In un territorio diverso da quello in cui sei cresciuta il fenomeno può amplificarsi, non hai punti di riferimento, la rete di contatti che funge da supporto. Tuttavia le forze del cambiamento che hanno agito nel sottosuolo negli ultimi decenni lentamente vengono alla superficie: le femministe hanno vinto la loro battaglia. La mia generazione deve stringere i denti ancora un po’ ed essere il più possibile solidale.

Secondo te, da questo momento storico in poi quali elementi deve racchiudere il concetto di turismo?

In questo preciso momento storico il turismo si semplifica. E questo non è affatto semplice. Togliere è solo apparentemente più facile che aggiungere. Per dirlo con una metafora il turismo è una maschera che deve cadere. Per certi versi si ritorna agli esordi, al turismo inteso come esperienza percettiva ed estetica e senza passaggi intermedi. Senza filtri, per usare un’espressione del linguaggio comune. Siamo già oltre l’esperienza, almeno quella comunemente intesa. Questa semplificazione però è potente e trasformativa: nulla sarà come prima.

Cosa ti auguri che i turisti possano vivere a Vieste? Cosa ti piacerebbe trasferire alle persone che incontri?

Una esperienza estetica non appartiene alla dimensione del fare, ma a quella del sentire. Da ragazza ero spesso ospite privilegiata della casa al mare della mia migliore amica. Andavamo per mare con la barca dei suoi genitori, nelle calette che ci sono attorno a Baia delle Zagare. Ogni giorno verso le sei del pomeriggio una serie di fattori, come la luce bassa, l’assenza di vento, l’aria rarefatta, creavano la mia esperienza estetica: una unione profonda tra me e lo spazio attorno. Non è mistica, non è un’ascesi spirituale, è un contatto puro e diretto con un luogo. La sera dopo il mare, a cena, eravamo tutti reduci di quel contatto: i nostri volti erano trasformati, ci sentivamo immersi in un benessere straordinario, tipico delle vacanze e del viaggio. Riguardo ai miei ospiti: mi interessa poco quello che mangiano, o dove vanno a fare il bagno. È quel tipo di contatto viscerale che mi interessa. Si può favorire ricreando spazi naturali, per mezzo di materiali locali, capaci di evocare l’essenzialità del nostro che è un territorio Mediterraneo, quindi minimalista, e lo è nella sua forma più estrema. Il minimalismo non è una forma concettuale o puro design da rivista, è la nostra tradizione con le sue ragioni storiche e culturali. Ciò che dico si riferisce al mio tempo con uno sguardo diretto al territorio in cui vivo; il turismo, come tutti i fenomeni umani, è da considerarsi nel suo divenire storico.

So che hai la passione per la scrittura e hai già pubblicato un libro, Il maggiore dei beni, edito nel 2017. Dove trovi l’ispirazione per scrivere? I tuoi testi sono pura evasione o contengono tracce di esperienze vissute?

Chi scrive vive a metà. Una parte di sé si sottrae alla vita per raccontarla, l’altra si muove attivamente nel mondo. Io ricerco caratteri, voci, sono un’amante della prima persona. Al momento scrivo molto poco. Spero di poter tornare presto a bilanciare queste due forme. Le tracce del vissuto si presentano come fantasmi quando sono alle prese con la scrittura e io sono lì che tento di scacciarli perché è l’incontro con l’altro da me che mi interessa, ma, in effetti, non sono sicura sia possibile.

Quali sono gli obiettivi personali e professionali per il futuro?

Vorrei scrivere un romanzo, e spero di avere la possibilità di lavorare in progetti di ospitalità che mettano al centro la persona e i suoi bisogni. Ieri leggevo un blog sugli hotel di tutto il mondo. A una selezione di questi veniva assegnato un punteggio a più voci, tra queste il “life changing”. Mi ha fatto sorridere l’idea che un hotel, un luogo dell’ospitalità, potesse avere una conseguenza diretta sulla vita di un individuo, migliorandola. Ma so bene che è così che stanno le cose e lo so con cognizione di causa. Il viaggio, o la vacanza, corrisponde a una frattura, una interruzione del quotidiano, e in questo senso è una occasione unica e irripetibile. Il turismo avrà una vocazione sempre più umanistica e sociale.

Qual è la tua destinazione del cuore? Il posto che consigli a chiunque di visitare?

Non credo di averne una. Ci sono però dei luoghi che mi sono rimasti impressi. Pescador Island nelle Filippine per nuotare con maschera e tubo, Clifton Beach a Città del Capo al tramonto, le calette tra Mattinata e Zagare a metà di un pomeriggio estivo.

Quali sono le donne che ammiri? 

Una domanda a cui non so rispondere perché se tento di farlo mi vengono in mente moltissime figure e moltissimi nomi. Posso tracciare una linea immaginaria per unire i punti di questa costellazione di volti. Ne verrebbe fuori una Orsa Maggiore ancora più luminosa. Vedo, tra quelle stelle, la bellissima Elsa con in braccio Alvaro, il suo gatto.

photo

 

Mariantonietta Chiara Sciannamè
Communication Specialist